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Le Alture del Golan


"Viaggiare è fatale ai pregiudizi, ai bigottismi e alle menti ristrette"


Il saggio proposito, almeno stavolta, di non esagerare, era saltato poche ore dopo aver messo piede in Palestina.
Provenienti dalla Giordania (la spettacolare Petra, un tuffo nel mar Morto) attraverso l'Allenby bridge, la poliziotta di frontiera israeliana, inaspettatamente simpatica oltre che professionale, ci aveva rassicurato circa la sicurezza nel suo Paese. E la passeggiata esplorativa a Jericho, la nostra porta d'ingresso in West Bank, aveva confermato le prime sensazioni: anche qui faremo come piace a noi.
Manco a dirlo, la prima notte eravamo già riusciti ad arrivare nella "terribile" Ramallah, compresi i selfie con i poliziotti nella piazza centrale, la stessa dove gli inviati delle Tv di mezzo mondo, fintamente terrorizzati e protetti da poderosi giubbotti antiproiettile, descrivono con enfasi quello che (spesso non) succede da quelle parti.
La giornata successiva interamente dedicata alla visita di Gerusalemme, tagliata in due da un muro alto otto metri: bello e affascinante il lato ovest, più interessante quello est.
"E' la mia Capitale". "No è la mia".

Il nostro Ministero degli Esteri, attraverso il sito istituzionale "Viaggiare(in)sicuri" ammonisce:
"In Cisgiordania le aree a nord di Jenin e Nablus e quelle nei dintorni di Hebron presentano livelli di rischio più elevato e continuano pertanto a essere sconsigliati viaggi in tali zone, soprattutto se intrapresi con iniziative improvvisate al di fuori di visite coordinate da organizzazioni locali."
Faremo tesoro di questi preziosi suggerimenti...la prossima volta.

Noleggiata una splendida Nissan Micra, prima tappa Betlemme, circondata da un altro muro israeliano; il tempo di uno show davanti alle telecamere di Nablus Tv e senza soste verso Hebron. Cinque ore ad alta intensità emotiva, per poi perderci, più o meno consapevolmente, nel deserto nel vano tentativo di raggiungere il mar Morto percorrendo la via più breve.
Pernotteremo per la seconda volta al Sami Hostel di Jericho, dove ormai eravamo di casa e ben oltre la mezzanotte, davanti ad un tè bollente, in un caffè della tranquilla piazza centrale della città, mappe e Gps alla mano, illustravo l'itinerario del giorno successivo:
"Risaliamo il confine con la Giordania lungo la strada 90 fino al lago di Tiberiade. Ce lo facciamo in senso antiorario con la 92 e poi prendiamo la 87. In venti km siamo al confine con la Siria e lo risaliamo fino allo spigolo con con il Libano. Dobbiamo fare la 999, questa bella strada di montagna che segue il confine con il Libano. Poi se c'è tempo un salto a Nazareth altrimenti direttamente in West Bank e passeremo la notte a Jenin"

Massimiano:"Te sei matto"
"Perché te che me assecondi credi di essere normale?"

Dopo il sonno ristoratore, parzialmente interrotto dalla preghiera delle 05,00 (por§* #*%o$$*), di buon mattino l'equipaggio composto dal pilota M. Moroni e il sosttoscritto navigatore è pronto alla partenza.
Buon viaggio. E buona fortuna. Ce ne servirà abbastanza.
L'umore è alto, i 150 km di strada 90 lungo il confine con la Giordania sono facili da percorrere, senza traffico e senza intoppi. Il monotono panorama desertico è spezzato da vivai di palme e serre di ortaggi; breve sosta in una panetteria al giorno dell'inaugurazione e rapidamente siamo al confine West Bank-Israele, superato senza alcuna noia burocratica.
"Adesso siamo in Israele!" "Perché prima?" Con questi vige la regola "il mio è mio e il tuo (quello palestinese, ma non solo) pure è mio"
Rapida visita della non bella Beit She'an, una puntata al Jordan River Crossing, un altro dei tre punti di frontiera ufficiali Israele-Giordania, e siamo già sul lago Tiberiade. Non bello, nemmeno interessante. Ma, dicono, ispirò miracoli. E allora per non esser da meno camminerò anche io, con successo, sulle acque...
Visitato anche il porto di Ei Avn, ci addentriamo nel cuore delle Alture del Golan. L'atmosfera è diversa, qui passa la voglia di scherzare. Siamo in una porzione di territorio siriano, "de facto" occupato militarmente e amministrativamente -senza riconoscimento da parte delle Nazioni Unite- da Israele dal 1967, dopo la guerra dei sei giorni.
Sebbene da molti anni non vi siano scontri armati sono ben evidenti i segni di quello che è successo e che potrebbe ripetersi da un momento all'altro. Autovetture civili col contagocce, in compenso incrociamo e ci sorpassano una quantità enorme di mezzi militari, più o meno blindati, di ogni dimensione. Ai margini della strada, carcasse di mezzi cingolati fino ad incontrare un'area di sosta con tanti carrarmati, questi in buono stato. Sembrano giocattoli in bella mostra, e mentre scattiamo foto, dal nulla sbucano due soldati che ordinano:
"Queste le devi cancellare".
"Va bene"
Ma intanto ci aveva pensato Massimiano, col suo "aifon", ad immortalarli. Dilettanti.
Tanti cartelli di pericolo e di divieto assoluto di accesso. E quelli, senza che ce lo dica "Viaggiare (in)sicuri", non li supereremo mai. Ma non resisteremo alla tentazione di visitare e scattare foto a quel che resta di un sistema di trincee collegate con tunnel pedonali, probabilmente ancora percorribili.
Proseguiamo verso nord accompagnati da inquietanti rimbombi d'artiglierie.
"Dai, saranno fuochi d'artificio"
"Sì, stocazzo..."
"A che distanza staranno sparando?"
E mentre ipotizziamo "il più lontano possibile", un'altra esplosione. Meglio tacere. E guardare avanti.
"Ma siamo in Siria o in Israele?" Domanda a cui daremo (qualche) risposta durante la sosta a Mas'ada; le persone sono troppo gentili per essere israeliani. Ed infatti, non lo sono. Parlano siriano, hanno cultura siriana e non potrebbe essere altrimenti. Mas'ada è una città siriana.
"Ma allora, siamo entrati in Siria senza passare per la frontiera?!?"
Ovviamente no. Stiamo toccando con mano come si vive nelle Alture di Golan la regione della Siria occupata e controllata dagli israeliani. I siriani che vivono qui sono apolidi: non hanno diritto al passaporto siriano, men che mai a quello israeliano. Queste -e tante altre cose- ce le diranno nella panetteria dove faremo sosta per una porzione di delizioso Knafeh, accompagnato dall'immancabile tè bollente. Ci accoglieranno con sorrisi spontanei, un'ineguagliabile cortesia e una curiosità mai invadente. Nadeen, la figlia teenager dei gestori parla inglese perfettamente, ci racconta del suo viaggio a Barcellona sponsorizzato dall'Onu e sogna Parigi.
"Mi piace tanto viaggiare, ma senza passaporto è impossibile, beati voi che potete..."
Una pugnalata.
"Dove siete diretti?"
"...Vorremmo arrivare fino al confine con il Libano e poi percorrere la strada 999. Sai se è aperta?"
"No, ma se restate qui stasera con i miei amici vi porto a Majdal Shams, ci sono tanti bei locali e si possono anche bere alcolici..."
"No, grazie, non beviamo". "E nemmeno fumiamo".
Meglio andar via...altrimenti ci lasciamo il cuore.
Riprendiamo il viaggio lungo la 98 e si comincia a salire, ben oltre i mille metri -Jericho, da dove eravamo partiti, si trova a 260 metri sotto il livello del mare- e attraversiamo Majdal Shams che non è bella ma ci piace lo stesso per non far torto a Nadeen. Siamo ormai a pochi km dalla meta, lo spigolo Israele-Siria-Libano, il punto da cui parte questa, ormai "leggendaria", 999. E ancora non abbiamo certezza sulla sua percorribilità. Incrociamo un gruppo di motoamatori -e, naturalmente, la nostra mente vola per un istante alla notte di Piura- e a loro chiediamo lumi.
"Neve non ce n'è, dovrebbe essere aperta"
"Ah, beh. Se il problema fosse la neve..."
Finalmente siamo in cima. Si apre un enorme piazzale tipo casello autostradale; i resort sono desolatamente vuoti. Gli impianti di risalita, ben segnalati anche sulle mappe, tristemente fermi. Ma noi non eravamo lì per sciare:
"Dove cazzo sta questa 999?"
Eccola!
Completamente sbarrata con tanto di filo spinato e molto espliciti cartelli di pericolo di morte.
Game over.

Non ci resta che ripercorrere nel verso opposto, stavolta in discesa, gli 8 km fino a Majdal Shams, prendere la 989 e puntare verso Nazareth. "Abbiamo tutto il tempo per arrivare a Jenin prima di notte." Avevamo fatto i conti senza l'oste israeliano. Ma loro, gli israeliani, non sapevano con chi avrebbero avuto a che fare.
Stavamo per vivere la notte più folle.