Da Bogotà a Cartagena


Un altro giro mondo"


Avevo promesso, a me stesso e ai due/tre sventurati deputati a raccattare, ove necessario, le mie spoglie che, stavolta mi sarei tenuto entro un itinerario "convenzionale": da Bogotà a Cartagena, via Tunja, Bucaramanga,...
Ma a Bucaramanga, preso atto di trovarmi a poche decine di km e a quattro ore di bus, da Cùcuta, North Santander, confine col Venezuela, "Zona rossa" (traffico di armi, droga, medicinali; immigrazione clandestina), non sono riuscito a resistere alla tentazione.

"Viaggiare (in) sicuri" del nostro Ministero degli Esteri sconsiglia viaggi individuali in quella provincia; l'analogo statunitense suggerisce addirittura la scorta armata. In realtà Cúcuta in sé, con le precauzioni elementari, è città sicura, dinamica, ospitale, che offre tante cose da fare e da vedere. Ottimo cibo e alloggi a prezzo incredibilmente basso, tale da consentirmi di alloggiare all'Hilton per due notti.

Il Venezuela, invece, è altra storia. Rispetto a 5 anni fa, quando visitai la parte orientale, tante cose sono migliorate, ma resta un Paese al di fuori della portata dei turisti.
Lungo l'elenco delle difficoltà da affrontare e superare. A cominciare dall'impossibilità di ritirare soldi contanti. L'inflazione vola, a dicembre un euro equivaleva a 18 milioni di Bolivares, la valuta nazionale. Le carte di credito internazionali talvolta sono accettate, ma per viaggiare in Venezuela, bisogna avere con sé molto "efectivo", preferibilmente dollari statunitensi, meglio di piccolo taglio.
I trasporti a lunga distanza sono problematici per la mancanza di mezzi affidabili (due volte il bus sul quale viaggiavo è rimasto in panne, la prima in mezzo alle montagne con relativa lunga attesa di quello sostitutivo), per le strade in pessime condizioni, per i prezzi tutt'altro che economici.
Ma il vero problema è la presenza asfissiante della polizia. Che se da un lato offre un argine al dilagare della criminalità, dall'altro genera un fastidioso stress ai possessori di un passaporto "straniero" per i continui tentativi estorsivi messi in atto dagli uomini in divisa, in tutte le forme possibili. Decine i controlli a cui è stato sottoposto il mio misero bagaglio nella paranoica -e ovviamente vana- ricerca di tracce di stupefacenti.
Una pagliacciata di facciata.
Le frontiere sono aperte, si può passare da Colombia a Venezuela e viceversa senza alcuna formalità, né controlli: è responsabilità del viaggiatore cercare e recarsi negli uffici immigrazione. Al primo controllo all'interno di uno dei due Paesi il malcapitato sorpreso senza timbro d'ingresso è considerato un clandestino, con tutto quel che ne consegue.
A questo, ovviamente, va incontro solo qualche sprovveduto o qualche disperato, mentre la "merce" che conta transita tranquillamente.

Trovare frontiere (volutamente) aperte è ricorrente in sudamerica.

Tra Panama e Colombia quella terrestre è addirittura inesistente.
Fin troppo chiaro il motivo, con buona pace di chi ritiene che il metodo "proibizionista" sia l'unica strada da seguire nella lotta alla droga.

Da San Cristóbal a Maracaibo attraversando le Ande fino a 3600 m slm, godendo di panorami mozzafiato; tappa nella splendida Mérida e Capodanno nell'anonima Barquisimeto, prima di arrivare sulla costa caraibica. A Coro il sorprendente centro storico, stile coloniale, rimesso a nuovo, patrimonio Unesco. Ma anche 250 km in moto per attraversare il deserto appena fuori città e raggiungere la penisola di Punto Fijo di fronte all'irraggiungibile, via mare dal Venezuela, Aruba. Infine Maracaibo, una città tanto meravigliosa, quanto devastata dalla profonda crisi economica che ha trasformato il Paese.
Un complicato e stressante trasferimento con un taxi collettivo fino alla frontiera mi riporterà in Colombia. Verso i confini il susseguirsi di posti di controllo della polizia e richiesta di soldi per i più fantasiosi motivi. Con me non l'hanno spuntata, ma è stata davvero dura