IL GRANDE BUSINESS



DELLA CARITÀ


Si moltiplicano le richieste di soldi da parte di associazioni umanitarie religiose e laiche, locali o internazionali.
A quelle storiche, capitanate da Unicef, ne vedo comparire ogni giorno una nuova, con nomi sempre più pittoreschi. I miei profili Facebook&Instagram inondati dalle loro pubblicità, evidentemente il loro algoritmo ritiene che "Uno che viaggia molto/Va spesso in posti fuori dai sentieri battuti", è un buon target.
Sbagliato.
Un viaggiatore, senza interessi nella questione, con la mente libera, ha le idee chiare su come funziona questa storia: è un vero e proprio business a beneficio, in larga parte, degli occidentali o, comunque, di chi dichiara di voler aiutare i disperati del mondo.
In quattro parole:
"Sono soltanto degli stipendifici".
A dirlo è Guido Bertolaso, dal 2001 al 2010 direttore del Dipartimento della Protezione Civile, un personaggio che, a prescindere dalla stima che si possa o non avere per lui, conosce a fondo la materia.

Ho un'opinione molto critica nei confronti del sistema degli aiuti ai disperati del mondo. E non mi riferisco affatto agli episodi di illegalità che di tanto in tanto si leggono sui giornali. Non maggiori di qualsiasi altra attività in cui girano soldi.
Il sistema, secondo me, è contestabile alla base, nel metodo e nel merito.



METODO


-1) EQUITÀ SOCIALE
La carità non serve per sconfiggere la povertà; la condizione necessaria e sufficiente è l'eguaglianza sociale.
I bambini del Mali che lavorano nelle piantagioni di cacao della Costa d'Avorio, non hanno bisogno dei vestitini, dei "kit" (?) alimentari, né -in alcun modo- di una volontaria bianca che si dipinge il volto e li fa cantare. Le loro canzoni sono belle quanto le nostre.
Serve che chi lavora in quei campi sia maggiorenne e venga pagato adeguatamente.

Più in generale:
a) Pagare le risorse che sottraiamo ai Paesi "poveri" con gli stessi criteri che si adottano negli scambi in occidente.
b) Obbligare le multinazionali a remunerare il lavoro delle popolazioni locali con contratti dello stesso standard dei Paesi occidentali (salario adeguato, ferie, malattie pagate, diritto allo sciopero, etc...)
c) Costruire, a fondo perduto, a compensazione di tutto quello che abbiamo loro sottratto, infrastrutture di trasporti. In particolare autostrade a carreggiate separate da una Capitale all'altra dell'Africa.
d) Divieto totale di vendita di armi di ogni tipo ai Paesi "poveri". Se desiderano farsi la guerra, la facciano. Ma noi non possiamo essere complici. Siamo civili, noi.

2) VOLONTARI
Il termine "volontario" è, riferito alle Ong, troppo spesso utilizzato in modo errato.
"Volontario" dovrebbe essere riferito a qualcuno che presta un servizio a titolo gratuito rimettendoci, anzi, tempo e denaro.
La quasi totalità di coloro che prestano servizio in queste associazioni riceve un corrispettivo in denaro, e dunque sono lavoratori come altri. A fine mese sui loro conti corrente vengono versati soldi che sono stati raccolti per aiutare i "bambini poveri del Chad" Che è una grande contraddizione.
E non è in discussione né la passione, né l'onestà. Chi auto-dichiara di voler aiutare i disperati del mondo,
lo faccia, -lo deve fare- a spese sue.
Altrimenti il termine corretto è "volontario con i soldi degli altri, parte dei quali erano destinati ai bambini poveri."





MERITO


Tutte le ONG vantano di avere un bilancio pubblico certificato da una società esterna. Servizio fornito a pagamento, ovviamente: altri soldi sottratti ai "poveri" che restano in occidente.
Ma vediamolo nel dettaglio uno di questi bilanci che, con piccole variazione di percentuali tra una voce e l'altra, sono sostanzialmente identici:
1) Il 20% della raccolta destinata ai poveri va in pubblicità.
Dichiarano tutte di essere "senza fini di lucro", ma un quinto dei soldi raccolti vengono utilizzati per generare altri soldi. Fior di aziende di marketing occidentali vengono ingaggiate e remunerate allo scopo. Onestamente, certo. Fatturati, stipendi e tasse restano in occidente, però
Se lo scopo fosse veramente aiutare l'Africa, tutto il marketing andrebbe commissionato nel continente, nelle periferie di una grande città, formando personale locale, in modo da creare centinaia di posti di lavoro, che a sua volta creerebbe ulteriore indotto.
Tutti i gadgets -tutti- andrebbero prodotti nei Paesi in cui si dichiara di portare aiuto, costruendo fabbriche, laboratori appositamente per quello scopo, utilizzando soltanto materiali e manodopera locale.
Chi sono, invece, i fornitori della "cianfrusaglie" delle Ong?

2) Il 5% della raccolta rappresenta la spese di gestione (la sede, la "carta della stampante", tasse, oneri bancari, etc).
Una cosa interessante è che i soldi "pro-Africa" vanno a finire su c/c occidentali. Ma se i soldi raccolti servissero davvero per aiutare l'Africa, andrebbero raccolti in banche africane e utilizzati SOLTANTO per far credito ad aziende e privati africane al 100%.
Certo, chi ci garantirebbe che quei soldi verrebbero utilizzati correttamente e non, piuttosto, che finiscano nelle mani di pochi?
Un problema reale. Ma se l'obiettivo fosse davvero e solo aiutare l'Africa, la chiave è questa, non certo pagare stipendi ai "volontari" bianchi.



3) Il restante 75%, dichiarano, va ai bambini.
Ed è falso
I soldi che restano sono utilizzati per finanziare "progetti". Non è in discussione, in questo articolo, se siano o meno validi: ipotizzando che siano tutti di notevole portata, la "chiave" è che la maggior parte dei soldi resta in occidente.
Innanzitutto in stipendi, compensi ed onorari per coloro che "volontariamente", ai progetti, partecipano con entusiasmo.
Come riportato nei siti ufficiali, "II COSTO DEL PERSONALE OCCUPA UNA VOCE RILEVANTE DEL BILANCIO"
Che è variabile tra il 30 e il 35%.
Su ogni 1000 euro donati, quindi, 200 sono utilizzati per "raccogliere altri soldi", 50 euro in spese gestione, 200/250 circa in stipendi.
Ne restano poco più di 500.
Ma nel "progetto" vanno incluse le spese di viaggio, vitto, alloggio, affitto dei Suv con l'antenna e autista, attrezzature, medicinali, telefoni satellitari, x1,x2,...xn,...
A conti fatti, su 1000 euro quanto resta, per il "progetto"?
Ho provato spesso ad interloquire sui social con le Ong. Mai ottenuta risposta, anzi l'unica cosa che sanno fare è "bloccarmi", per impedire di continuare scrivere. Vigliacchi.






LA NON ADOZIONE



Ma la pubblicità più disgustosa è il "progetto" (della millantata) "adozione a distanza".
Quantomeno ci sono gli estremi per "pubblicità ingannevole", ma, a quanto pare, nessuno interviene.
"Adotta un bambino con Amref a 1 euro al giorno (Action Aid spesso fa lo sconto: 0,82)", in accompagnamento al bel video professionale di un bambino che piange/che ride
E' assolutamente FALSO.
Dal sito ufficiale Amref:



"Adozione a distanza e sostegno a distanza vengono usati come sinonimi nel linguaggio comune, facendo riferimento per entrambi ad una forma di aiuto appunto a distanza, e non ad un atto giuridico di adozione vera e propria in cui un bambino viene adottato legalmente e vive all’interno di una nuova famiglia, né ad un aiuto economico diretto ad un singolo bambino o alla sua famiglia."
Confidando su molte complicità, sull'analfabetismo funzionale, e quello vero e proprio delle masse, la colpevole indifferenza di chi sarebbe in grado di comprendere ma non interviene, sanno che nessuno si prenderà la briga di decifrare quanto, sfacciatamente, loro stesso dichiarano. Dunque lo dicono stesso loro:
NON ESISTE ALCUN AIUTO DIRETTO AD UN SINGOLO BAMBINO (e nemmeno alla famiglia), men che mai ad un euro al giorno.
E poi, ancora, testuale dai loro siti:
"La foto del bambino/L'inizio di una bella storia/Disegni e cartoline realizzate dal bambino e dalla sua classe/Gli aggiornamenti sul bambino o la bambina che sosterrai/le sfide che supererà/i successi che raggiungerà grazie al tuo sostegno."
Sono tutte melensaggini senza alcun riscontro reale con lo scopo di attirare quante più persone, in particolare di un certo "target".
Che poi ammesso che il 100% di quanto viene donato arrivasse veramente al bambino o alla sua famiglia, potrebbe vivere con un euro al giorno?
Ovviamente no. Ma è un modo molto low cost che hanno determinate categorie di persone per lavarsi la coscienza.





FINCHÉ C'È GUERRA C'È SPERANZA



L'amara verità è: ma interessa davvero all'occidente che il cosiddetto "terzo mondo" non resti nelle condizioni in cui si trova?
Se una parte di popolazione del mondo ha raggiunto tale livello di benessere, lo ha fatto per meriti propri, certo. Le grandi scoperte,
i viaggi, il progresso scientifico, sociale. Utilizzando, però, risorse e forza lavoro saccheggiate dell'altra.
La schiavitù, in teoria, non esiste più; ma come possono definirsi gli operai del tessile di Dhaka o i minatori di Coltan della Repubblica Democratica del Congo?
E' semplice concludere che, tutto sommato, a noi "bianchi" interessa che resti tutto com'è; dal film di Alberto Sordi del 1974,
"Finché c'è guerra c'è speranza", cosa è veramente cambiato?


..."E tutti i cazzi che ve se fregheno"
il geniale Albertone nelle scena chiave, quella finale, del film, che rappresenta la sintesi del business della carità.