1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

Il "Treno del Ferro"


"Non c'e' treno che non prenderei, non importa dove sia diretto"


"Ci sono treni -per chi ama i binari e tutto quello che ci passa sopra- da prendere assolutamente. Tra i tanti, certamente, "Il Treno del Ferro" in Mauritania, il convoglio che collega il porto di Nouadhibou alle miniere di ferro di Zouérat, nel nord del Paese, attraversando il Sahara da ovest a est (e viceversa), per oltre 600 km, lungo il confine con il Marocco.
Parte, vuoto, da Nouadhibou tutti i giorni intorno alle 14,00 impiegando dalle sedici alle diciotto ore per completare il tragitto; con il carico di metallo effettua il percorso inverso, dal deserto al mare.
Dicono sia "il più lungo, il più pesante e il più lento del mondo"; è un convoglio di 2,5 km composto da 200 carri merci con in coda un vagone passeggeri, trainato da almeno tre locomotori diesel.
Per viaggiare sul Treno del Ferro, dunque, bisogna raggiungere Nouadhibou. Farlo in aereo da Casablanca sarebbe stato "volgare", certamente più interessante attraversare il Sahara da nord a sud con mezzi terrestri.
In treno da Tangeri -tappa a Meknès e Rabat- a Marrakech, dove, purtroppo, termina l'efficiente rete ferroviaria marocchina. Avanti con autoveicoli; una notte ad Agadir e poi l'ingresso in
Sahara Occidentale/Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi, territorio conteso tra il Marocco e il Fronte Polisario. Ricordo gli innumerevoli posti di blocco durante il percorso per El Aaiún e Dakhla, città in cui trascorrerò delle giornate molto piacevoli.
L'ingresso in Mauritania il pomeriggio del 31 dicembre e dopo pochi km la piacevole sorpresa, ad un passaggio a livello, di incrociare il "Treno del Ferro", da poco partito in direzione Zouérat. L'emozione è grande: tra due giorni a bordo ci sarò anche io.
Nouadhibou non è città per turisti "all-inclusive con braccialetto"; perciò più interessante per un viaggiatore.
Salutato l'anno nuovo senza countdown, ma con ostriche e champagne (!), il mattino successivo è dedicata alla visita del porto che, da solo, varrebbe un viaggio.

Alle 13,30 del 2 gennaio 2015 sono in stazione, con pochi altri viaggiatori; con me, unici stranieri, una giovane coppia, lui finlandese, lei ceca. Paga il biglietto solo chi desidera viaggiare nell' unica carrozza passeggeri; il passaggio è invece gratuito per chi sceglie di accomodarsi in uno dei carri merci che, verso Zouérat, viaggiano vuoti.
Ho in programma di scendere a Choum, due terzi circa del percorso, per proseguire verso Atar in auto. In attesa del treno, l'accesso ai binari è interdetto; vani i miei tentativi di "socializzare" con poliziotti e ferrovieri, l'idea di prendere posto accanto ai macchinisti, stavolta, devo farmela passare in fretta. Ma del resto su un locomotore ho già viaggiato in Italia, Egitto, Cuba, Thailandia, Vietnam, Pakistan, Filippine, Myanmar, Indonesia, Uruguay...in un carro merci, mai.
E' giunto il momento di farlo.



Finalmente si aprono i varchi e il convoglio, partito pochi minuti prima dal porto, sta per entrare in stazione. Mentre scelgo il carro, peraltro tutti uguali, che mi ospiterà, un poliziotto di scorta al treno invita me e i due ragazzi a salire nello stesso carro sul quale prenderà posto anche lui. Viaggeremo più sicuri con lui.
Lungo al punto di non vedere la coda, il gigante di ferro, alle 14,35, si mette in moto. Il panorama apparentemente monotono, invece mi affascina. Vento e sabbia in faccia; su fotografie, quattro chiacchiere con i "compagni di carro".
"A che ora arriviamo a Choum?" -chiediamo al poliziotto-
"Tra le 24,00 e le 02,00" E ancora più vento e sabbia; poche altre foto, va scemando anche la voglia di dialogare; riconosco il passaggio a livello di due giorni prima, ma stavolta sono dal lato giusto.
Ben presto giunge l'ora di preparare il giaciglio per trovare riparo all'ampia escursione termica del Sahara; i ragazzi in tenda, io in un massiccio sacco a pelo. Avvolto in una coperta il poliziotto, ma solo dopo il tramonto. Il procedere del treno è scandito dal classico sferragliamento rotaia/binario, tutt'altro che fastidioso, che mi accompagna nella lettura di "Cara Italia" di Enzo Biagi.
Di tanto in tanto, in stazioni in pieno deserto, il treno effettua brevi soste consentendo ai viaggiatori l'opportunità di mettere la testa fuori dal carro, impossibile da fare quando in movimento. Ad una di queste incroceremo il treno che viaggia nel verso opposto, con i carri colmi di polvere di ferro. E' lungo, lunghissimo. Saturerò la memory card della fotocamera per riprenderlo.
Infine cala il buio, e arriva il freddo. Un freddo esagerato: il sacco a pelo non basta e dovrò indossare tutto quello che ho in valigia per coprirmi. Dormo ad intervalli irregolari; ad ogni risveglio sembra averlo fatto per ore e invece sono trascorsi soltanto pochi minuti.

E' tutto nero, ma ci illumina la luna.

Alle 23,00 inizio a sperare che manchi un'ora, ma meglio essere pessimisti e far conto che ne manchino tre. Il tempo continua a scorrere sempre troppo lentamente, ho la sabbia dappertutto. Finalmente, intorno all'1,30, il poliziotto urla:
"Hey guys, here we are!"
e ci scaraventa fuori dal carro, in mezzo al nulla. Avrei pagato oro per un Ibis o... una "casa particular", ma niente. Deserto.
"And now?" Pochi istanti e un pick-up della polizia ci "raccatterà" e accompagnerà in un edificio adibito ad autostazione in attesa di un mezzo per Atar, che non partirà prima che il sole sarà già alto.
A quel punto comincerà un'altra avventura, mentre quella sul "Treno del Ferro", invece, era finita: un'esperienza tanto devastante, quanto esaltante.
"Lo rifaresti?"
Non so, non credo.
Ma se non l'avessi fatto adesso starei pensando a quando partire per Nouadhibou.

Sono stato in Mauritania a dicembre 2014/gennaio 2015