Nagorno Karabakh


Il Paese che non c'è mai stato, e che non ci sarà mai



Vista da fuori è una delle tante incomprensibili storie di geopolitica, ma provando ad approfondire potrebbe entrarci -come sempre, seppure indirettamente- il petrolio. Quello azero, stavolta.

Situato nel Caucaso meridionale senza sbocchi a mare, incastrato tra Armenia, Azerbaijan e Iran, il Nagorno Karabakh ("Montuoso Karabakh") era -fino a qualche giorno fa, nonostante non fosse riconosciuto a livello internazionale- una Repubblica Presidenziale a tutti gli effetti; libera, democratica, con una sua Costituzione. Ci vivevano circa 150.000 abitanti distribuiti su una superfice di 11mila kmq.
Popolato sin dall'antichità quasi esclusivamente da armeni, ad inizio del ventesimo secolo si è ritrovato a far parte del territorio dell'Impero sovietico. Inizialmente inglobato nella Federazione Transcaucasica, Stalin, quando questa si è divisa in tre Stati: Armenia, Azerbaijan, Georgia, per consolidare le simpatie turche, l'assegnò all'Azerbaijan creando, nel 1923, un’enclave armena in territorio azero: la Regione Autonoma del Nagorno Karabakh.
Nel 1991, a seguito della caduta dell'Urss, le legittime richieste di indipendenza del Karabakh non furono accettata dall'Azerbaijan che scatenò una sanguinosa e distruttiva guerra durata oltre due anni. Persa. Nel 1994 fu firmato un accordo di cessate il fuoco -ripetutamente violato dagli azeri- nel quale al Karabakh venivano concessi piccole porzioni di territori in modo da garantire la continuità con l'Armenia.
La conquistata libertà non fu mai acquisita a titolo definitivo perché continuamente messa in discussione dagli azeri. Ma difesa con forza, tenacia ed orgoglio dalla popolazione locale senza alcun aiuto, nemmeno un piccolo segnale, dalla comunità internazionale; nessun Paese, evidentemente per non far torto ai petrolieri azeri, ha mai riconosciuto la Repubblica del Nagorno Karabakh.
Nonostante tutto, dopo la fine del conflitto, l'economia del Karabakh era cresciuta a ritmi sorprendentemente vertignosi, grazie agli investimenti di qualche Paese straniero (Libano, Russia oltre all'Armenia) e al turismo; nell'ultimo decennio sono state costruite ex novo infrastrutture stradali e migliorate alcune delle esistenti. Si è dimezzato a 4 ore il tempo di percorrenza da Stepanakhert, la capitale, a Yerevan.



Nel "Montagnoso Karabah" ci sono stato nell'ormai lontano 2003.
Un viaggio incredibilmente affascinante in una terra anche adesso poco conosciuta e, in quegli anni, completamente fuori dai circuiti turistici. Non ricordo di aver visto altri "stranieri" durante la mia permanenza.
Bologna-Vienna con Austrian airlines, il tempo per una fetta di Sacher e un giro sul ring con i tram 1&2, e volo notturno per Yerevan.
Contestualmente alla visita della capitale mi procurai il visto, validità sette giorni, per il Nagorno Karabakh. Che puntualmente non bastarono.
In Maršrutka, attraverso il passo di Sotk e il corridoio di lachin, dalle cui colline gli azeri sparavano durante la guerra (e continuavano a farlo: "Spesso sentiamo colpi quando percorriamo questo tratto"), in sette ore da Yerevan a Stepanakhert. Ad attendermi, non richiesto, una guida assieme ad un veicolo a quattro ruote motrici con l'autista; per me che amo viaggiare in modo totalmente indipendente quella scena generò fastidio, ma in realtà in poco tempo capii che si trattava di una formalità dovuta. A pagamento, certo, ma nemmeno troppo cara. Godrò di tutta la libertà desiderata e, in più, l'assistenza per visitare luoghi che, da solo, sarebbe stato impossibile raggiungere.





Immancabile la visita dei due monasteri più famosi, Amasar (dove si narra sia nato l'alfabeto armeno) e Gandzasar, raggiunti percorrendo lunghi tratti di strade non pavimentate, attraversando villaggi dove il tempo s'era fermato a molti decenni prima.
Indelebile la strana e simpatica scena "dell' uomo che parlava ai pesci": un anziano signore incontrato in una fattoria in mezzo al nulla, che a ritmo di musica lanciava cibo ai pesci di un vivaio invitandoli a saltare fuori dall'acqua, una volta a destra, una volta a sinistra.
Ma ciò che mi è rimasto davvero di quel viaggio sono le relazioni con le persone. Un popolo fiero delle proprie origini, colto, dotato di un senso dell'ospitalità fuori dal comune.
A Stepanakhert, dove alloggiavo, dopo due giorni in strada già mi riconoscevano, salutavano e invitavano nelle case. Nell'unico internet cafè della città ero solito trascorrere un paio d'ore ogni sera; dieci minuti per leggere la mia posta, il resto del tempo a chiacchierare, bere, mangiare.
Scaduta la settimana di validità del visto mi fu concesso -a titolo di "amicizia" (a pan' e puparuol', diremmo a napoli)- di restare ancora qualche giorno.

















Cosa resta adesso della Repubblica del Nagorno Karabak, dopo il recente attacco azero, iniziato il 27 settembre scorso?
Ben poco: con l’accordo trilaterale tra Armenia, Azerbaijian e Russia, degli undicimila chilometri quadrati che componevano la Repubblica , ne restano meno di tremila: di fatto soltanto una piccola isola collegata all'Armenia lungo il corridoio di Lachin.
Per ora a vegliare sull'accordo di ci sono i russi, ma appena se ne andranno l’Azerbaijian, complice il silenzio della comunità internazionale, impegnata a fare affari a Baku, si prenderà anche il poco che resta.