VIAGGIARE al TEMPO del COVID

...(com'è stato)


AZ559 Podgorica-Fiumicino, con quel volo Alitalia terminava, ad inizio gennaio 2020, un viaggio che in tre mesi mi aveva portato prima in Africa, poi in Estremo Oriente, infine di nuovo in Africa.
Via Cina.
Vuoi vedere che...
Di una polmonite anomala che girava nella provincia cinese di Hubei già si parlava da qualche settimana, ma inimmaginabile l'inferno che si sarebbe scatenato da lì a poco.
Per ventuno mesi sono rimasto confinato entro l'area compresa tra sei regioni confinanti (Marche, Umbria, Lazio, Campania, Molise, Abruzzo), poi ad ottobre 2021, il giorno del mio compleanno, ho deciso, nonostante le tante restrizioni ancora in essere, che era giunto il momento di ricominciare a viaggiare.




Per quelli con il passaporto come il mio il mondo era diviso in fasce, da A a E:
-A, Paesi aperti senza alcuna restrizione. Vuota. Bene.
-B e C, rispettivamente Paesi Schengen ed extra Schengen europei, accessibili anche per turismo, ma non il mio "desiderata".
-E, il resto del mondo, proibito, tranne una limitatissima lista di Paesi che costituiva la fascia D, ammessi per viaggi di piacere.
Tra questi l'Arabia Saudita, che da poco aveva aperto le porte agli stranieri infedeli, che da sempre mi incuriosiva. Dunque, non un ripiego.
Visto online ottenuto con pochi click, doppia vaccinazione -controvoglia- completata nei termini stabiliti, tampone molecolare negativo.
Potevo partire.

Rojal Air Jordanian, via Amman; a Fiumicino il Green Pass controllato solo a vista e sulla fiducia. Iniziamo bene. Ad Amman lo stesso, ma almeno hanno fatto finta di verificare che il nome sul documento coincidesse con quello sul passaporto.
A Jeddah l'impressione che i controlli li avessero fatti a monte: all'immigration via libera senza formalità.
Nel Paese obbligo di mascherina solo sui mezzi pubblici, ma necessario utilizzare un'applicazione -"Tawakkalna"- per accedere ai luoghi pubblici al chiuso, compresi piccoli negozi.
Rientro in Europa, a Berlino. Nella Capitale tedesca mi aspettavo rigidi controlli per le provenienze extra europee; invece utilizzando i varchi automatici riservati ai cittadini comunitari, sono stato perfettamente ignorato. Nessuno mi aveva chiesto conto del test nemmeno alla partenza, sebbene avessi assolto comunque al presunto obbligo, entro le 48 ore dalla partenza.
In una elegante clinica privata a Jeddah, l'addetto al prelievo:
"Per cosa ti serve?"
"Volare".
"Ah,ok"
Il bastoncino a malapena appoggiato nei pressi delle narici, sei ore dopo il risultato, ovviamente negativo.

Da Berlino a Riga (in coprifuoco notturno), sufficiente un'autocertificazione online per ottenere un QR per salire sull'aereo; poi a Odessa e Cracovia, senza controlli.
Per rientrare in Italia, a metà novembre, con Ryan Air l'obbligo di caricare, all'atto del check-in online, il Green Pass. Ho erroneamente inserito quello del molecolare effettuato prima della partenza dall'Italia, e dunque scaduto. Nessun controllo, nessuna domanda. Se avessi caricato un foglio bianco, ma anche la scansione di un biglietto del tram, probabilmente sarebbe stato uguale.
All'aeroporto di Ancona, il solo controllo della temperatura.

***

Tre settimane a casa e l'11 dicembre Bologna-Istanbul-Dar es Salaam. Sia Turchia che Tanzania, a quella data, incluse nella lista E.
"Mica sei un turista, tu!", mi ha ricordato un fidato amico ascolano.
Un altro tampone molecolare, al Marconi controllato solo a vista, più l'obbligo di compilare un ridicolo foglio autocertificando il motivo dello spostamento. Che nessuno ha controllato, ma ancor peggio, nessuno ha ritirato.
Via libera ad Istanbul, a Dar es Salaam sufficiente mostrare l'esito del tampone molecolare stampato. Se lo avessi prodotto falso, sarei passato lo stesso.
In Tanzania il Covid semplicemente non esisteva. Pochissimi i casi ufficiali dichiarati, nessun obbligo, niente mascherina, distanziamento sociale nemmeno a parlarne.

Destinazione successiva, Isole Comore. Necessario e sufficiente il biglietto aereo di uscita dal Paese e l'esito negativo di un tampone molecolare effettuato non più di 48 ore prima dell'arrivo. Test in un ospedale pubblico a Mwanza.
Costo ufficiale: 60 Usd. Una farsa. In una stanza riservata il medico in servizio mi suggerisce di fare, per dieci euro, prima quello rapido:
"Se risultasse positivo, faremo in un altro modo"
"..."
"Se negativo -come è stato n.d.r.- useremo lo stesso tampone per il molecolare".
Venticinque Usd extra, e gioco fatto.
All'aeroporto di Moroni, Capitale delle Comore, direttamente sulla pista, controllo della temperatura e ritiro del documento stampato su cui era segnato l'esito del tampone. Se fosse stato falso non...sarebbe cambiato nulla.

Dalle Comore al Sudafrica, da dove era partita la variante più aggressiva a dicembre.
Sufficiente un tampone con esito negativo. Nell'hotel in cui alloggiavo a Moroni mi hanno organizzato servizio a "domicilio". Un gentilissimo signore -con la faccia e la valigetta da medico- mi convoca nella hall, finge di ravanare con un tampone nei pressi delle mie narici e mi garantisce che entro due giorni, qualche ora prima del volo Ethiopian, avrei ottenuto via Whatsapp il risultato dell'esame.
Nessuna ricevuta. A fiducia. Ben riposta (ma tutt'altro che economico): un file pdf con il mio nome e qualche timbro che certificava un esito negativo al Covid effettivamente è arrivato al mio numero comoriano.
Hurrà!
A JBN atterraggio alle 03,30; addetta al controllo dei tamponi una simpatica ed assonnata ragazza con gli occhiali. L'ultimo dei suoi pensieri verificare il contenuto dei documenti nelle mani dei viaggiatori in arrivo. Pochi secondi dopo ero "sudafricano".

Tappa successiva, Namibia. A Cape Town molte cliniche esponevano cartelli con la scritta "test covid" ben in evidenza. Un business molto florido. Tutto molto professionale, salvo poi leggere che il mio cognome sul documento fosse impreciso: Marotto. Vabbè, che sarà mai una vocale.
A Windhoek, per la prima volta, il controllo digitale del QR del test; qualche attimo di apprensione per quella O al posto della A, invece nessun imprevisto.

Il rientro in Italia da un Paese della lista E mi avrebbe obbligato a dieci giorni di quarantena. Ma la Namibia è, di fatto, colonia tedesca, e i cittadini tedeschi -e per forza di cose anche agli comunitari-, erano sollevati da tale seccatura. Volo diretto Windhoek-Francoforte, qualche giorno in Germania -con tappa prima a Norimberga e poi a Monaco- e, in treno, compilando un inutile e incontrollato form online, rientro a casa

***

Terzo ed ultimo round, cominciando da Cuba, partenza metà aprile. Ormai le maglie si stavano allargando; solo obbligo del vaccino -intanto avevo ceduto pure alla terza dose- per entrare nel Paese caraibico, controllato con serietà. Nessuna formalità per rientrare a Madrid, prima di volare dall'altra parte del globo. A Singapore, solo form online da compliare e, infine, Filippine. Necessari: vaccinazione, tampone rapido 24 ore prima dell'arrivo, assicurazione medica e biglietto di uscita dal Paese. A fine maggio il rientro in Patria, quando erano state cancellate tutte le restrizioni.





























IL COLOSSALE BUSINESS DEI TAMPONI


In otto mesi ho messo piede in quattro continenti; è stato subito ben chiaro come fosse semplicemente impossibile controllare realmente gli spostamenti delle persone. Tutto si limitava ad un mero controllo formale dietro al quale si è creato un colossale business,
a beneficio di pochi, a spese di tanti, che mi ha ricordato la scena finale di "Fracchia la Belva umana":

"Il lasciapassare!"
...
"Com'è giusto lei..."