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ঢাকা-DHAKA

L'inferno che ammalia



Due volte in Bangladesh, la prima solo nel distretto Dacca, la seconda anche in quello di Sylhet, nel nord del Paese, al confine con l'India.
La capitale è una città folle, caotica in cui veicoli di ogni forma e dimensione, a motore, pedali, trascinati da animali o braccia umane si muovono da un punto all'altro della città, apparentemente senza logica e senza meta.

"E' molto più che soltanto una città. Dacca è un gigantesco vortice che risucchia qualsiasi cosa e chiunque sia sufficientemente folle da avvicinarsi al suo furioso raggio d'azione. E non importa quante volte tu sia stato in questa città; la sensazione di essere completamente sopraffatto è sempre la stessa..."

Iniziava così l'introduzione di Dacca della "Lonely Planet". Adesso ha corretto leggermente il tiro, ma la Capitale bengalese resta una delle città più disordinate del mondo, certamente dell'emisfero occidentale. Dhaka è come un vaccino che funziona alla perfezione; una volta conosciuta, tutte le altre, al confronto, appaiono vivibili.
L'unica che riesce a tenerle testa e in cui ho riscontrato tante somiglianze, è la vicina Kolkata, non a caso, la capitale del .
E', Dacca, una città che richiede al visitatore un elevato spirito di adattamento e di sopportazione; non adatta ai beginners e agli amanti dei resort zanzibar&sciarm.
Ed infatti turisti non se ne vedono, e non m'è capitato nemmeno d'incrociare viaggiatori. Eppure stranieri ce ne sono e vivono quasi tutti a Gulshan, il quartiere residenziale. Diplomatici e imprenditori che fanno ottimi affari in quello che è l'ottavo Paese più popolato al mondo, primo per densità, a parte le città-Stato Singapore, Hong Kong e Bahrain. Ed uno dei più poveri.
Ci sono stato entrambe le volte in luglio, in piena stagione delle piogge e il caldo umido opprimente accentuava disagi e affanni. Nelle ore pomeridiane per me risultava quasi impossibile camminare al punto da decidere, dal terzo giorno in poi, di cambiare "fuso orario": a letto al mattino, sveglia a pomeriggio inoltrato.
La città vive 24/24 e solo all'alba tira un po' il fiato. Ed è affascinante, in quelle ore, girare a piedi nelle strade semi-deserte, sebbene sia un pugno nello stomaco vedere tanta gente, interi nuclei familiari, dormire in strada in miserrime condizioni o sui carretti, di fatto, le loro abitazioni.






Eppure, è una città che ammalia. In qualsiasi momento del giorno e della notte e in qualsiasi punto della città, si susseguono senza sosta significative scene di vita ed esperienze che si fatica a memorizzare. Fermarsi ad un incrocio equivale ad andare a teatro o al cinema per assistere ad avvincente film d'azione che cattura lo sguardo per tutta la sua durata.
Solo che a Dacca il film non finisce mai.
Vale il biglietto aereo un viaggio in treno nel tratto urbano, partendo da Motijheel, sul tetto di una carrozza oppure, come ho fatto io, seduto sulla passerella esterna del locomotore, aggrappato alla balaustra.
Altrettanto interessante la visita del "Babu Bazar" e l'omonimo ponte sul fiume Buriganga. Il colorito mercato ortofrutticolo si tiene su vecchie navi ormeggiate sulla riva nord orientale; ore a saltare da un'imbarcazione all'altra, senza riuscire ad annoiarmi.
Dall'altra parte del fiume, come spesso accade, una città diversa; ancora più povera, più derelitta.
Raggiunta in barca l'altra sponda, mi ritrovai accerchiato e seguito da un nugolo di ragazzini curiosi, sorridenti, mai aggressivi; il più grande, e più scaltro, si dimostrò anche una guida efficace.
Nella strada delle sartorie donne, uomini e bambini intenti a cucire di tutto; in un tetro scantinato, un opificio attrezzato con sgangherate lavanderie in piena azione per realzzare l'effetto slavato ai jeans che tanto amiamo in occidente, soprattutto se costano poco. Rumomi assordanti, miasmi nauseabondi, livello igienico ben sotto il tollerabile. Riuscii a filmare pochi secondi, prima che qualcuno mi invitò, inequivocabilmente, ad allontanarmi.
E da quel momento in poi la passeggiata diventò meno rilassante, senza tuttavia, mai temere per la mia incolumità.

Ci sono luoghi in cui ci vai una volta e ti basta. Dacca non è tra questi.
E ci tornerò.

Sono stato in Bangladesh a luglio 2014 e stesso mese 2017


















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